L’OMBELICO DEL MONDO: Vittoria alla scuola dei campesinos

Intervista a Gianfranco Zavalloni

Inserito da Giorgio Gatta venerdì 09 settembre 2011


 


Un disegno di Zavalloni
Maestro elementare per sedici anni, poi dirigente scolastico a Sogliano al Rubicone in Romagna, burattinaio per passione, teorico della “pedagogia della lumaca” come della “contadinanza” attiva, e tante altre cose ancora: il cesenate Gianfranco Zavalloni si trova oggi, a 52 anni, a fare una nuova esperienza in Brasile, assegnato al ruolo di dirigente scolastico presso il consolato scolastico di Belo Horizonte. Dal settembre 2008 è addetto culturale al Consolato di Belo Horizonte dove ha promosso, insieme alla Società di ricerca e studio della Romagna mineraria, all’Associazione degli emiliano-romagnoli di Belo Horizonte e all’Università della stessa città, la ricerca di fonti documentarie dei minatori cesenati emigrati nel lontano 1895 dalla miniera di zolfo di Formignano alle miniere di Passagem de Mariana nello stato di Minas Gerais, in Brasile.


Nel frattempo, Gianfranco Zavalloni si sta dedicando a seguire gli esami di stato nelle scuole italiane in Perù, dove resterà un mese con un distacco concesso dal consolato scolastico di Belo Horizonte.

Dal Perù Zavalloni ci racconta, in questa intervista, una bella esperienza di cui è protagonista Vittoria, una volontaria italiana, insegnante di matematica.


Gianfranco, cosa succede nell’ombelico del mondo, dove adesso ti trovi?


Cusco deriva da una parola in lingua quechua che vuol dire “ombelico del mondo”. A tremila metri sopra il livello del mare, nel pieno dell’altipiano andino peruviano, ho ritrovato e rivisto esattamente dopo 27 anni, Vittoria. Insegnante di matematica, partita come volontaria del MLAL (Movimento Laici America Latina), arrivò a Lima nel luglio del 1982, lo stesso giorno in cui arrivai anch’io, che non sapevo una sola parola di spagnolo. Io rimasi 5 mesi per raccogliere dati, informazioni ed esperienze per quella che poi sarebbe stata la mia tesi di laurea, dal titolo un po’ bizzarro: “Dagli Appennini alle Ande… e ritorno - Le tecnologie appropriate e alternative come strumenti di modificazione sociale”. Vittoria, a cui due anni prima di partire era stato asportato, per un tumore, lo stomaco, finì in uno perduto paesino della zona di Puno, nel sud andino. Un giorno andai a trovarla: ci volevano cinque o sei ore di fuoristrada per arrivare. Da lì partiva e tornava un solo camion, una sola volta la settimana. Dopo otto anni di lavoro con i campesinos delle Ande, Vittoria è scesa a Lima. Qui ha iniziato a supportare le bambine e le ragazze che, dalla campagna andina, finiscono a fare le lavoratrici domestiche nelle case ricche della capitale peruviana. Lavoratrici domestiche non vuol dire, qui in Perù, lavoro tutelato, come in molti paesi e ora anche in Italia, dopo la legge di regolarizzazione delle cosiddette “badanti”. “Qui sono quasi tutte minorenne, umiliate, sfruttate e spesso abusate. Lavoratrice domestica era anche una bambina - mi racconta Vittoria - che quando l’ho conosciuta aveva sette anni e ne aveva già lavorato due”.


Campesinos a CuscoDalla capitale, Vittoria ha fatto ritorno in campagna?


Sì, dopo i primi anni a Lima, l’ex professoressa di matematica è tornata là dove questa situazione di ingiustizia nasce: nelle comunità campesine dell’entroterra. L’intento di fondo è che siano gli stessi genitori ad evitare di mandare le figlie, magari con l’illusione della scuola, a lavorare in città. A Cusco, Vittoria ha messo in piedi una vera e propria struttura di accoglienza e di sostegno alle ragazze lavoratrici domestiche. Un lavoro centrato sull’“educazione”, il cui punto centrale – spiega Vittoria - è la “presa di coscienza dei propri diritti” e l’acquisizione di un “carattere forte, capace di poter affrontare la vita a testa alta”, senza cioè doverla abbassare di fronte alla arroganza del padrone o della padrona di turno. Un ruolo fondamentale lo gioca, in tutto questo, la scuola serale che le ragazze, insieme anche a bambini lavoratori di strada, frequentano dopo il lavoro. Una scuola “inclusiva”, alla don Milani, per capirci, che dia alla ragazze gli elementi formativi tali da renderle autonome. A supporto economico del centro, c’è una vera e propria struttura di “turismo responsabile”, frequentata in prevalenza da italiani.

 


Da http://www.emilianoromagnolinelmondo.it/


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