Il Burkina oggi fra eterni problemi, nuove minacce e qualche passo avanti

Inserito da Giorgio Gatta martedì 14 agosto 2018

di Marinella Correggia

da Il Manifesto dell'11 agosto 2018

ALIAS - Speciale Interviste. Terrorismo qaedista, mercanti di schiavi, carenza alimentare, ma dopo il 2014 le cose sono cambiate


Quasi cinque anni fa, l’insurrezione popolare in Burkina Faso, culminata nelle giornate del 30 e 31 ottobre 2014, suscitava infinite speranze e cacciava dal potere e dal paese dopo 27 anni il presidente Blaise Compaoré, responsabile del colpo di Stato del 1987 nel quale Sankara fu assassinato e che sancì la fine di un’esperienza ante litteram. Oggi i burkinabè affrontano le eterne difficoltà ambientali ed economiche, ma anche minacce inedite al tempo della rivoluzione sankarista. Lo spiega da Ouagadougou Touwendinda Zongo, direttore di Mutations e vicesegretario del Comitato internazionale impegnato nel progetto di dedicare un memoriale alla figura di Sankara.


La piaga del terrorismo di matrice qaedista colpisce duramente da qualche anno, soprattutto nel nord, alla frontiera con il Mali…


La guerra della Nato in Libia nel 2011 è stata un disastro per diversi paesi del continente africano, che subiscono tuttora le conseguenze della disarticolazione del sistema di sicurezza regionale. I gruppi jihadisti che attaccano paesi come il Burkina, il Mali, il Niger sono formati da ex combattenti nello scenario libico. Grazie all’operazione della Nato, i terroristi hanno fatto il pieno di armi. Ormai la minaccia è permanente. Questi adepti del male con la loro guerra asimmetrica possono attaccare di sorpresa in qualsiasi momento. Ma negli ultimi tempi abbiamo fatto passi avanti. Di recente un’operazione militare ha smantellato un gruppo nascosto in un quartiere periferico di Ouagadougou, con diversi arresti. A questa lotta di lungo respiro devono collaborare tutti i cittadini di pace fornendo informazioni utili e condannando l’estremismo cosiddetto religioso. Tolleranza e rispetto, capacità di vivere insieme al posto di odio e divisioni.


In Libia prima dell’intervento della Nato lavoravano moltissimi burkinabè e in generale africani. Verso la fine della guerra, di fronte al collasso del paese, alla perdita del lavoro e alla caccia al nero da parte dei nuovi padroni, molti africani scelsero il rimpatrio con l’Oim (Organizzazione mondiale delle migrazioni. In seguito in Libia abbiamo visto il caos, lo scandalo dei mercati degli schiavi, le partenze mortali con i barconi. Ora l’Unione africana si propone di rimpatriare nell’Africa subsahariana 20mila cittadini africani che sono in situazione illegale in Libia…


In un comunicato, l’Unione africana si propone di rimpatriare migliaia di migranti che si trovano in centri di detenzione controllati dal governo libico e che hanno espresso intenzione in questo senso. Ma due cose vanno dette. Intanto l’Unione africana nel 2011 non si è mostrata coraggiosa, non ha fatto tutto il possibile per impedire la guerra. Adesso tutta l’Africa ne porta le conseguenze. Sarebbe dunque più saggio per l’Unione africana impegnarsi maggiormente per il ripristino della pace e della sicurezza in Libia. Inoltre quei migranti non hanno lasciato i loro paesi per spirito di avventura. L’Unione africana che avrebbe dovuto guidare i paesi membri verso il buon governo e la democrazia ha fallito nella sua missione. E al tempo stesso, Europa e Stati uniti avranno sempre bisogno dell’Africa – perfino nel calcio, per fare una battuta di attualità. L’Europa deve accompagnare il continente africano nel suo sviluppo con programmi strutturali in grado di assorbire la disoccupazione e garantire i servizi sociali di base.


Quanto alla situazione sociale in Burkina, la televisione Droit Libre ha trattato il tema dei 2,5 milioni di persone minacciate dall’insicurezza alimentare documentando, nel villaggio di Noogo vicino a Kaya, una realtà molto triste, i granai vuoti…bn lontana dallo sviluppo endogeno al centro dell’opera di Sankara.


Il Burkina Faso non è certo stato favorito dalla natura. Paese in buona parte saheliano, ha un’unica stagione delle piogge all’anno. E i cambiamenti climatici hanno peggiorato la situazione, ponendo il nostro paese in uno stato di insicurezza alimentare quasi cronica. Kaya, come altre regioni, hanno avuto una pluviometria ancora più scarsa del solito e all’ultima stagione agricola è seguito un decifit alimentare. Ma la situazione climatica molto dura del paese, che potrebbe essere percepita come una fatalità, non è insormontabile. La rivoluzione di Sankara lo aveva capito, avviando una conseguente politica agricola e ambientale. In pochi anni i risultati di queste innovazioni si erano visti, e insieme a tecniche agricole migliorate e all’investimento nella gestione dell’acqua, la produzione alimentare era cresciuta e lo spettro della fame si era allontanato.


Gran parte dei burkinabè vivono tuttora di agricoltura, e il peso del caos climatico rende il compito ancora più difficile. Ma ci sono progetti di resilienza, dal basso e aiutati dal nuovo governo?


La situazione rischia di peggiorare se il settore agricolo viene negletto. Prodotti chimici mal dosati e nocivi hanno invaso i campi. Comunque ci sono agricoltori che ogni anno investono nel recupero di suoli aridi con tecniche tradizionali e innovative. E’ indispensabile una politica governativa efficace per trasformare il settore agricolo e garantire sicurezza alimentare e livelli di reddito dignitosi ai contadini.


L’insurrezione popolare burkinabè del 2014 avvenne in nome della democrazia e dei diritti sociali ed economici. Pur scontando un certo immobilismo economico fonte di insoddisfazione, quali progressi ci sono stati da allora, anche nella partecipazione popolare?


L’insurrezione non voleva solo allontanare dal potere Compaorè. Voleva denunciare e combattere un modo di governo antipopolare, intessuto di corruzione, malversazioni, spreco di denaro pubblico, disprezzo dei cittadini, impunità… Anche se questi mali non sono ancora stati completamente eradicati, oggi non ci si può più permettere di governare come prima. Certo il controllo viene esercitato soprattutto a livello locale urbano, là dove c’è una massa critica di persone alfabetizzate. Sacche di resistenza al cambiamento permangono, ma società civile e media ora fungono da sentinelle per una governance virtuosa. In un paese povero la necessità di ridurre le spese dello Stato per investire nel sociale si impone a governanti e governati; Thomas Sankara era maestro in questo. Quanto alla democrazia diretta… il più integro dei burkinabè non potrà essere eletto se personalmente o il suo partito non possono investire molto denaro in campagna elettorale. Ed è un peccato perché non tutti quelli che hanno i mezzi per accedere a ruoli di responsabilità sono necessariamente i più adatti.


A che punto è il processo per individuare chi uccise Thomas Sankara adesso che, oltretutto, si vocifera di un possibile ritorno di Compaoré dalla Costa d’Avorio dove è ospite ormai per certi versi sgradito?


Il dossier è stato riaperto nel 2015 e l’istruttoria è iniziata. Ma il cammino è lento: una rogatoria coinvolge altri paesi, con i quali il giudice è obbligato a cooperare. Da tempo si è in attesa dell’apertura dei dossier classificati come segreti dalla Francia. Ma c’è la speranza che alla fine si arrivi alla verità. Del resto, già con l’insurrezione e la fine dell’era Compaorè, Thomas Sankara ha ottenuto un’altra vittoria sui suoi assassini. Le sue parole e le sue azioni ispirano tuttora la gioventù africana e mondiale. I suoi stessi detrattori sono obbligati a riconoscere che fu un integro, un panafricanista convinto con un grande sogno: far uscire il suo paese e l’Africa dalla dipendenza e assicurare una vita degna ai popoli burkinabè e africani.


Inserisci un nuovo commento
Commento
Codice di sicurezza
Codice di sicurezza
Ricopia il codice che vedi nell'immagine, serve per verificare che i commenti non siano scritti in automatico, ma da persone vere.
Nome utente (nick)