Albania mon amour /2

Inserito da Giorgio Gatta sabato 17 luglio 2021

Progetto di cooperazione a Permet in Albania


Noi italiani, o occidentali in genere, siamo abituati a lamentarci per qualsiasi cosa.


Nulla di grave ma siamo fatti così.


Ovviamente questo crea imbarazzo nei nostri interlocutori che non sanno mai come prenderci.


Allorché sento Endri Xhaferai (a destra nella foto) – rappresentante della cooperazione italiana in Albania – sbottare dicendo dopo l’ennesima lamentela sulle strade sterrate:


“Non vi siete accorti che siete in Albania e non in Italia?”


In Emilia Romagna abbiamo una predilezione per le strade – lo si sa – non si fa in tempo a vedere una buca che quella è già sparita.


Non te ne rendi neanche conto che già non ci sta più.


Le buche sulle strade sono una vera e propria ossessione nei nostri Amministratori, quasi da avere la priorità su qualsiasi politica del territorio, per non parlare delle strisce bianche sulla strada.


Non ne vedete di sbiadite neanche a pagarle!


Io credo che ci siano degli omini spia che durante la notte, con tanto di torcia in mano vanno alla ricerca di buche e di strisce da rifare, come sicuramente ci sarà un numero verde per le richieste del cittadino: “SOS BUCHE IN EMILIA ROMAGNA”.


“Volevo segnalare una buca in via …”


Risponde l’impiegato/a del call center:


“Grazie della segnalazione: manderemo degli operai immediatamente ed entro mezz’ora sarà tutto finito. Se non fossero rispettati i tempi, ci richiami pure…”


Capisco quindi lo stupore e il disagio dei miei colleghi quando abbiamo percorso strade sterrate che sembravano non finire più.


A Faenza fino agli anni ‘60 del secolo scorso tutte le strade fuori dal centro cittadino erano sterrate perché tutto era campagna e in campagna allora c’erano solo strade bianche con piccole buche e ciottoli.


Era poi normale per noi bambini fare qualche capitombolo su queste stradine e nessuno fiatava, ci si rimetteva in sella e via e solo arrivati alla meta ci davano un po’ di aceto come disinfettante…


Nella strada dove abito era tutta campagna e si andava a prendere le uova dalla Clelia…


Io dunque farei così:


Appena uno arriva all’aeroporto di Tirana, interrogherei chiunque provenga dall’Italia:


“Viene dall’Emilia Romagna? Ok, le facciamo fare una strada sterrata di due o tre ore con un solo piccolo strapiombo a fil di ruota dell’automezzo per puro spirito di adattamento al Paese.”


Un mio grande accompagnatore di viaggio / mediatore culturale, mi ha raccontato una volta un episodio di un viaggiatore che a una sua richiesta inusitata ha così risposto:


“Scusami tanto, ma ti sei guardato attorno dove sei, te ne rendi conto?”


Naturalmente non stiamo dicendo che quelle strade non siano pericolose: non ci sono segnali di pericolo, non ci sono i guardrail e tanto meno i fittoni di cemento posati sulle curve.


Ma il punto è, come ha detto Endri Xhaferai:


“È vero c’erano dei rischi e io me ne sono assunto la responsabilità, ma quello che ti ho fatto vedere è qualcosa di unico che valeva la pena che tu vedessi. Anche se tutto non è perfetto e lo sappiamo, questa è l’Albania.”


Che sia stato un viaggio faticoso e stancante – dall’1 al 5 luglio con soli tre giorni di permanenza – non ci sono dubbi, ma si poteva fare diversamente? Io credo di no.


Le persone sono importanti (cit. Fausto Faggioli)


Fausto Faggioli delle Fattorie Faggioli ci ha fatto capire quanto sia imprescindibile il coinvolgimento di tutta la popolazione per lo sviluppo della destinazione turistica nelle sue varie sfaccettature, dai negozi agli esercizi commerciali, ecc…


Tutto il tessuto sociale ed economico deve sentirsi parte di un sistema di accoglienza e tutti devono concorrere a fare sentire il turista un concittadino temporaneo.


D’altra parte, come ribadito da Flamur Golemi (al centro nella foto), è il benessere complessivo di chi vi abita a cui bisogna mirare.


Flamur Golemi è di esempio a una cittadinanza che fa sistema per il benessere di tutti: autoctoni e turisti.


Con Enrico Bertoni, Direttore del Museo Interreligioso di Bertinoro, condivido alcune analisi che dicono quanto in Italia si faccia molta fatica a fare i conti con l’intercultura e interreligiosità.


Ma due punti qui mi sembrano estremamente importanti da sottolineare:

  1. Le comunità ospitanti devono essere autrici del loro sviluppo.
  2. I progetti di cooperazione si fanno insieme: comunità ospitanti e non.

Quanto al primo punto invece di: “Ci dovrebbe essere un aeroporto a Permet perché è imprescindibile per lo sviluppo economico e turistico della zona”.


Sarebbe più utile dire: “Guardate, a Forlì si sono uniti imprenditori e autorità pubbliche per fare riaprire l’aeroporto di Forlì prevedendo una ricaduta importante per il territorio romagnolo.”


La prima frase dice: vi diciamo noi cosa dovete fare.


La seconda presenta un’esperienza: noi abbiamo fatto così.


Sul secondo punto direi che i progetti di cooperazione non stanno in piedi solo se sono garantiti i soldi e dal momento che questi vengono a mancare il progetto cessa di esistere.


Ma direi piuttosto che senza un rapporto di fiducia nell’altra parte della cooperazione non ci possa essere cooperazione e l’unico modo è imparare a lavorare insieme facendola, con sincerità, curiosità e voglia di mettersi in gioco.


Non dico che i soldi non siano importanti ma sono convinto che dalla relazione possano nascere cose impensabili e innovative.


Un insegnamento che ho tratto da questo viaggio in Albania è la gentilezza come modus operandi in qualsiasi momento e circostanza, che mette a proprio agio l’altro, come inizio di una relazione autentica.


Giorgio Gatta


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